L'elemento centrale di Passeggiate campane è uno: la data. 1938. Settantatre anni fa. Un niente nella storia di una terra antichissima, culla di civiltà, che ha conosciuto una successione ininterrotta di imperi, dinastie, guerre.
A leggere le pagine di Maiuri, non esagero, sanguina il cuore. La sua Campania è una terra ricca come forse nessun'altra e le descrizioni di paesaggi e incontri lasciano sognare a bocca aperta. Vigneti e uliveti e promontori sul mare lungo coste immacolate. Praterie fiorite di margherite e rosolacci dove sorgono paeselli sorti intorno ai vecchi centri rurali delle colonie latine, abitati da gente spesso povera ma piena di composta dignità.
Pagine piene di scugnizzi, e di reperti archeologici (tra cui l'Antro della Sibilla, scoperto proprio da Maiuri dopo lunghe ricerche) che questa terra giunonica regala al pari dei pomodori e delle mozzarelle di bufala. E di un'umanità vibrante che accoglie lo studioso con iniziale diffidenza - "Vui chi site?, che iàte truvànno?" - per poi aprire dimora e campi alla sua curiosità.
I luoghi descritti spaziano da Napoli a Cuma, da Pozzuoli a Ischia, ma arrivando a comprendere in un'accezione più ampia anche siti oltreconfine ma culturalmente affini come gli Aurunci nel Basso Lazio, la straordinaria Sepino in Molise, Ventotene, il Circeo e altro.
Come abbiamo fatto noi italiani a rovinare tutto questo? Come siamo riusciti a massacrare il giardino d'Europa? Nè Toscana nè Sicilia, a parer mio, potevano forse competere con quella Campania per densità di valori paesaggistici, culturali e storici, naturalistici.
Se c'è un luogo simbolo di quel che abbiamo perduto - quasi del tutto - sono i Campi Flegrei. Di un reportage di cinque anni fa ricordo luoghi fantastici circondati dal caos. Il Paradiso possibile, l'Inferno reale. Queste foto (cliccare sulle miniature per ingrandire) sono di allora.