Di questa costa tirrenica senza identità i capoluoghi si chiamano Tor Vaianica, Ostia, Fiumicino, Ladispoli. Agglomerati di condomini che ospitano decine di migliaia di residenti, spesso romani in fuga dal caro-vita della capitale oppure extra-comunitari. E intorno a loro una campagna sorprendentemente solitaria, tagliata dai canali di bonifica e privata della presenza umana da estese coltivazioni a conduzione meccanizzata. Eppure.. Eppure questo quadrante costiero di Lazio attrae sempre più i naturalisti romani e non solo, in particolare i birdwatchers. A richiamarne l’attenzione sono piccole zone umide residuali – in particolare le Vasche di Maccarese, la bonifica delle Pagliete con i suoi canali, la foce dell’Arrone, l’oasi di Macchiagrande – che nonostante le dimensioni assai contenute si dimostrano capaci di attrarre una biodiversità sorprendentemente varia. Più di tutte, però, una è diventata una vera palestra per gli studiosi romani e non manca di stupire per la complessità delle relazioni ecologiche presenti in un sito ridottissimo per dimensioni: la palude di Torre Flavia.
Giorni fa, a tratti sotto la pioggia di questa metà novembre, ho fatto due passi sulla battigia (cliccare sulle foto per ingrandirle; parte del testo soprastante, invece, è preso da un mio vecchio articolo per la rivista Piemonte Parchi).
A chi volesse approfondire lo straordinario sopravvissuto ambiente di Torre Flavia consiglio la lettura del volume Biodiversità, gestione, conservazione di un’area umida del litorale tirrenico: la Palude di Torre Flavia, a cura di Corrado Battisti, Provincia di Roma, Gangemi Editore.