Assai più che un manuale che promette miracoli a suon di regole e numeri - vecchia querelle tra forma e contenuto - sono i libri fotografici a creare terreno fertile nella mente di chi legge e guarda. Da qualche tempo anche il filone dei film/documentari sui grandi autori è una risorsa da non sottovalutare, se è vero che - come in un workshop - poter osservare come si muove un fotografo di talento frutta molti e proficui insegnamenti.
Già al 2015 risale il film Koudelka shooting holy land, dedicato al leggendario fotografo cecoslovacco dal regista israeliano (e suo assistente sul campo, in questo caso) Gilad Baram. Proiettato nei festival di mezz'Europa, in Italia il film s'è però visto poco o niente se si escludono proiezioni a Trieste e Bergamo e un passaggio su Sky Arte. Ho avuto modo di visionare una copia del film riservata alla stampa e ne scrivo volentieri, sperando in una prossima proiezione su grande schermo in qualche adeguato evento.
Josef Koudelka (1938) non ha bisogno di molte presentazioni. Più di ogni altro, il suo reportage dell'invasione sovietica di Praga dell'estate '68 (pubblicato col suo nome solo 16 anni più tardi) lo ha consegnato alla storia della fotografia. Ma è con i frutti successivi di un'attività febbrile ed anarchica - dal lavoro sugli zingari a quello sugli esuli (lui per primo), a quello sul muro tra Palestina e Israele - che il fotografo di Magnum consolida la sua fama ormai universale. Il libro The wall è appunto l'esito di un lavoro durato quattro anni e il film di Baram, più che raccontarne la genesi, ne documenta lo spirito. |