Ieri. E' una giornata tersa e gelida e all'alba sono già sul posto. Dall'autostrada ai due solchi nel bianco della carrareccia - le catene le ho dietro, ma fortunatamente non servono - l'auto s'infila nella vallata che via via si stringe verso il valico. Arrivo alla fonte e parcheggio, calzo scarponi e ghette. Sui cardi i cristalli di ghiaccio si dispongono ordinatamente, faccio loro qualche scatto nella luce dorata del primo mattino e poi anche ai crinali intorno, dove il fresco manto bianco - dove finiscono i faggi - mette in evidenza le morbide forme della montagna.
Poi accade. Cammino in un tratto scoperto, sul pendio ondulato giusto qualche cespuglio di rosa selvatica, i primi faggi sono alla mia destra. Superato un cespuglio con lo sguardo in terra, attento a delle impronte di lepre sulla neve, colgo una sensazione di movimento e mi volto di novanta gradi verso sinistra. Un lupo è a trenta metri da me.
Naturalmente tutto dura una frazione di secondo. Ha appena superato un piccolo dosso che mi copriva al suo sguardo. Lui si precipita al dietrofront, io all'inseguimento. Tiro giù dalle spalle tele e Gitzo e raggiungo in qualche modo il dosso, contando di fotografarlo almeno mentre si allontana. Dissolto nel nulla. Ma la neve è un libro scritto e allora ne ripercorro il cammino - prima veloce, come si conviene a una fuga, poi subito tornato sicuro di sé a passo costante e composto.
Che animale fantastico... Ma un fotografo, e per giunta professionista, perde punti se confessa apertamente del groppo in gola a mettere gli scarponi nell'incavo di quelle orme, e dei duecento metri a ricostruire ogni passo e dunque ogni decisione/istinto - perché passare di lì e non qui?
Dopo il tramonto, nella pianura, la doppia piramide del Velino-Cafornia domina un lago di nebbia. Chissà stanotte come gli sarà andata la caccia...