Una mia fotografia di pulcinella di mare è stata scelta dalla LIPU per la copertina del numero estivo 2017 del suo bel periodico ALI, inviato a tutti i soci. La foto è stata fatta nel giugno del 2014 alle scogliere di Latrabjarg, in occasione del mio secondo viaggio in Islanda. Particolarità che può interessare è che l'ho realizzata con un obiettivo 17-40 mm: non credo che siano molte le foto di copertina dedicate a un animale scattate con un grandangolo! Pubblico l'immagine originale accanto a quella opportunamente tagliata per la copertina dalla redazione. |
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Ed anche per il Photo Tour alle isole Orcadi, nella lontana Scozia settentrionale, è giunta quest'estate la seconda edizione. Dopo tante puntate in Islanda, torno a Nord in quest'arcipelago così contraddittorio tra paesaggi agresti, piccole comunità, scogliere selvagge. Ci torno con Iolanda, Giovanna, Andrea, Riccardo, Saverio, Francesco e Mauro. Anche stavolta una bellissima compagnia! Rispetto all'anno scorso, al solito, ho ritoccato leggermente il programma per migliorarlo e renderlo più aderente alle nostre semplici, decise aspettative: fotografare al meglio le bellezze naturali di questi lembi di terra circondati da un mare cupo, severo, ricco però di vita. La novità maggiore è stata la visita a una terza isola e cioé Papa Westray, che si è andata aggiungendo a Mainland e Westray già esplorate nel 2016 (qui il report). Lunga poco più di 6 km, abitata da appena 70 persone, Papay (com'è chiamata localmente) si è rivelata una piacevole sorpresa e vi abbiamo rinvenuto all'inizio della seconda fioritura anche la rara Primula scotica, autentica star della flora nazionale. Per il resto anche stavolta le aspettative non sono andate certo deluse! Schede piene ogni (lungo!) giorno con tanti scatti a imprimere sul sensore gli incontri con le foche (mai così numerose), gli uccelli marini che colonizzano le scogliere, i fiori, i magnifici paesaggi di queste isole. L'ultima sera, in zona Cesarini, non abbiamo mancato neppure l'incontro ravvicinato col gufo di palude (grazie all'occhio attento di Giovanna) che piantandoci quei suoi grandi fanali gialli addosso s'è poi librato come una farfalla sui campi incolti del crepuscolo. Arrivederci Orcadi, speriamo al prossimo anno!
Il Photo Tour in Marocco, dal 22 al 30 maggio, è stato come l'avevo voluto. Vario come ambienti visitati: dall'oceano alle montagne dell'Atlante, dalle dune del Sahara ai souk delle città. Rappresentativo, credo, di quel grande Paese dove oltre ai paesaggi s'incontrano molte diversità. Etnie, religioni, tradizioni, organizzazioni sociali, economie. Bella sfida fare fotografia davanti a un simile palcoscenico. Così, per ciascuno di noi, si è trattato di fare i conti con occasioni praticamente infinite ma anche qualche problema di natura tecnica e - forse soprattutto - personale. E mi riferisco, per esempio, alla difficoltà di quel gesto di alzare la fotocamera e puntare l'obiettivo su una persona che forse non lo vuole; anzi, spesso ti dice proprio di no. E quindi la necessità di superare la timidezza, di miscelare rispetto ed astuzia, di fare scelte con rapidità, stabilire una connessione con i soggetti. Ma penso anche al vero e proprio rebus di individuare una inquadratura davanti a scene di complessità non di rado notevole. Chi mettere dentro? Cosa lasciare fuori? E perché? Se fotografare è scegliere, e davvero lo è, in ogni momento sul campo - nella penombra dei souk di Fes e Marrakech, con gli ultimi raggi di sole sulle dune albicocca di Merzouga, tra i rami potenti dei cedri dell'Atlante - ci siamo confrontati con la necessità di indovinare una composizione convincente, di intercettare uno sguardo, di domare una luce spesso apparentemente indomabile.
Alcune considerazioni in ordine sparso. Vincitore assoluto con poche sorprese: il turco Burhan Ozbilici (la foto è in alto), che giusto a fine 2016 aveva scattato la sequenza storica dell'assassinio dell'ambasciatore russo a Istanbul all'inaugurazione di una mostra (di fotografia!). Quattro gli italiani premiati: Alessio Romenzi (notizie generali), Antonio Gibotta (ritratti), Francesco Comello (vita quotidiana), Giovanni Capriotti (sport, primo premio per il reportage). Edizione romana della mostra organizzata da Francesco Zizola, egli stesso vincitore del WPP (primo premio assoluto) nel 1997. Pochi, purtroppo, gli eventi collegati: anzi solo uno, l'interessantissimo incontro col fotografo americano (Time, NYT, Life, Le Monde...) Christopher Morris; davvero non si poteva fare di più?Le foto più sensazionali? Molte. A volerne segnalare alcune: la manifestante di 27 anni che fronteggia, calma e persino elegante, i poliziotti in Lousiana (autore Jonathan Bachman); i due fratelli in lacrime sull'ennesimo gommone della speranza, straziante (Santi Palacios); la notte dei detenuti sulle scale di un affollato carcere filippino (Noel Celis); i reportages metropolitani di Peter Bauza e Daniel Berehulak da un Sud America senza tregua; il racconto bianco di gelo e isolamento nella Russia più remota di Elena Anosova.Delusione maggiore, quest'anno, forse dal podio più alto della categoria natura. Una tartaruga marina impigliata in una rete abbandonata; un leopardo che si aggira nottetempo in una periferia urbana; l'assembramento delle farfalle monarca (questo per le foto singole; ai reportages è andata meglio). Tre fotografie splendide, naturalmente, ma pur sempre niente che non si sia già visto. Non la tecnica di esecuzione, né tantomeno i soggetti coinvolti e relativi allarmi da lanciare.La mostra del World Press Photo resterà a Roma fino al 28 maggio. A Milano la stessa mostra è visitabile presso la Galleria Carla Sozzani fino all'11 giugno. Non perdetevela!
Assai più che un manuale che promette miracoli a suon di regole e numeri - vecchia querelle tra forma e contenuto - sono i libri fotografici a creare terreno fertile nella mente di chi legge e guarda. Da qualche tempo anche il filone dei film/documentari sui grandi autori è una risorsa da non sottovalutare, se è vero che - come in un workshop - poter osservare come si muove un fotografo di talento frutta molti e proficui insegnamenti.Già al 2015 risale il film Koudelka shooting holy land, dedicato al leggendario fotografo cecoslovacco dal regista israeliano (e suo assistente sul campo, in questo caso) Gilad Baram. Proiettato nei festival di mezz'Europa, in Italia il film s'è però visto poco o niente se si escludono proiezioni a Trieste e Bergamo e un passaggio su Sky Arte. Ho avuto modo di visionare una copia del film riservata alla stampa e ne scrivo volentieri, sperando in una prossima proiezione su grande schermo in qualche adeguato evento.
Tanto vale dirlo subito. Siamo lontani dalle immagini e dal ritmo narrativo de Il sale della terra, giusto per fare il primo paragone che viene in mente. Tanto il film su Salgado (autore Wim Wenders con Juliano Ribeiro Salgado) è epico e incalzante, quanto Shooting holy land è laconico ed essenziale. Le scarpe sempre infangate dell'esploratore, Koudelka abita lo spazio desolato di una terra offesa, si muove nelle sequenze spesso statiche alla ricerca dell'inquadratura perfetta, condisce con poche battute la sua presenza lieve in un luogo pesante come pochi.Visita e torna a visitare, con le stampe in mano per fare il confronto col lavoro svolto finora, alberghi diroccati e posti di blocco, campagne mute, gli spazi urbani di Gerusalemme e Betlemme, naturalmente il muro in costruzione. Lo fa con le sue fotocamere a tracolla, in particolare due voluminose macchine in formato panoramico caricate a pellicola. Scatta rigorosamente a mano libera. Cambia punto di ripresa a piccoli passi. S'intrattiene volentieri con chiunque. Sorride al soldato che al posto di blocco, prima di farlo a quel punto passare, chiede se davvero è della famosa agenzia Magnum.Di questa terra offesa, di questi paesaggi stravolti dall'odio "che nessuno difende e che niente potrà restituirci", il poeta Josef ci mostra scorci allungati in bianco e nero solidi come la sua visione disincantata del mondo, orizzontali come l'arida estensione di questa patria contesa, con inquadrature non di rado centrali che travolgono ogni regola compositiva. Emblematica la ripresa che lo vede immortalare un paesaggio urbano (Gerusalemme?) dietro una grande cortina di filo spinato. Incurante dei suoi quasi ottant'anni, Koudelka striscia a terra tra le spire guidato dalla sua visione. Il risultato è una fotografia che colpisce, che resta dentro gli occhi di chi guarda, assolutamente potente. Il video promozionale di Koudelka shooting holy land è visibile su Vimeo a questo link. Il volume The wall (edito in Italia da Contrasto) è in vendita sui soliti canali, Amazon compreso.
Il primo giorno di aprile, e sul serio, Genius loci ha cessato le pubblicazioni. Il blog quotidiano di fotografia e natura che con Vito Dell'Orto e Ugo Mellone avevamo varato 30 mesi tondi tondi prima - e che ottimo seguito, devo dire, ha avuto tra gli appassionati - è giunto come tutti i progetti al suo capolinea. Ogni protagonista di questa bella e impegnativa avventura, vale a dire i 14 fotografi italiani coinvolti (in realtà di più, per via dell'inevitabile rinnovo strada facendo di parte della squadra), avrà tirato il suo personale bilancio. Il mio, tutto sommato, è positivo. Sarò franco. Avrei preferito portare a casa - di questo nostro sforzo collettivo di dare grande e immaginifica visibilità a una visione local e soprattutto ben informata, e sensibile, della fotografia naturalistica - un risultato ancor più tangibile. Un libro, per esempio, oppure una mostra itinerante. Meglio ancora, tutti e due. Non ci siamo riusciti e questo lo vivo come una sconfitta personale, visto che personalmente mi sono speso in tal senso. Non è stato possibile anteporre l'urgenza del progetto ad altre valutazioni di natura personale: un classico dei lavori collettivi, insomma. Però non era scontato riuscire a coinvolgere così tante individualità, e per così tanto tempo - 30 mesi a qualcuno sembreranno pochi: a misurarli un giorno dopo l'altro, con un post nuovo di zecca quotidiano, si potrebbe cambiare idea - e invece ci siamo riusciti. E il risultato è lì, sulle pagine del sito finché resteranno online (non a lungo), con una qualità che non sta certo a me giudicare ma che non amici degli amici ma altri, a cominciare da quotate riviste del settore come Fotografia Reflex e GDT Forum, hanno valutato favorevolmente mettendolo nero su bianco. Sulla pagina Facebook del progetto, che per il momento resta attiva e sulla quale pubblicheremo saltuariamente aggiornamenti delle nostre singole attività, la notizia è stata naturalmente accolta con disappunto da chi ci seguiva. Molti altri interventi, oltre che direttamente sul blog, si contano sulla pagina Facebook di Vitantonio (si veda il post relativo datato per l'appunto 1 aprile). A leggere molti di quei commenti viene da pensare che forse, e sottolineo il forse, le nostre fotografie e i nostri testi avranno gettato un piccolo seme in un pubblico - quello degli appassionati italiani di fotografia di natura - dato in crescita tumultuosa. Una voglia di approfondire, un desiderio di non fermarsi alla crosta superficiale di una passione, la scoperta di una visione più libera e fresca. E a ben pensarci è lì il vero risultato, che resta anche se i siti web chiudono. Adesso si guarda avanti. Idee nuove, l'immutata passione per la fotografia, la natura, la comunicazione. L'impegno personale e quindi civile che si declina giorno per giorno in quello che proviamo a costruire, a testimoniare, facendo bene quel che facciamo. Speriamo di riuscirci un po' meno raramente di quel che temiamo. Per non perdere le buone abitudini, pubblico qui qualche scatto realizzato in questo mese di marzo. Intanto un paesaggio tolfetano: una quercia ritratta dietro un gruppo di asfodeli, elementi essenziali di quell'ambiente.E poi alcune fioriture sui monti Simbruini.
Tutto pronto. Chiusi nei capanni aspettiamo la luce del giorno con emozione pura, senza la quale - ormai lo so bene - ogni giornata vale a metà. Ogni cosa è stata fatta per bene. La sveglia ha suonato di notte, come quelle di edicolanti e panettieri. Sorrisi e battute, il caffellatte veloce, ma la tensione c'è. La sera prima, dopo cena, avevamo passato in rassegna il comportamento da tenere dentro i nascondigli: la gestione delle feritoie, la necessità di coprirsi le mani, i movimenti lenti. E poi le scelte tecniche da seguire, le impostazioni della fotocamera, le immagini da previsualizzare. Per strada c'è qualche grado sottozero e a destinazione ci dividiamo con un sorriso che nasconde apprensione. Buona luce! Arrivano. Dovevano farlo col sole ma una coltre di nebbia cancella ogni traccia del paesaggio circostante. Una luce rosa trafigge il primo gruppo in volo, le ferma in aria con colori pastello. Ho scelto subito ISO bassi, non m'importa di bloccare il movimento: le voglio come le vedo adesso, come fantasmi che s'avvicinano ad avvolgerci col loro ripetuto "krrò". Poi il rosa si dilegua con la notte e la pianura ritrova il suo respiro. Sono già centinaia, intorno a noi. Vicine, vicinissime alle nostre finestrelle (e chi ha Nikon impreca sullo scatto "silenzioso" assai poco silenzioso). È bellissimo soffermarsi e puntare le inquadrature sui dettagli in primo piano, sui salti acrobatici, sugli scontri subito risolti a suon di sonori richiami a collo insù. Sono giganti elegantissime, vere signore dell'avifauna europea, e non ci fanno gran figura tre oche lombardelle che trotterellano a rapidi passi letteralmente ai loro piedi. Il giorno passa lentamente. Comunichiamo tra capanni via Whatsapp, messaggistica digitale per condividere uno spettacolo che su questo altipiano aragonese si perpetua dalla notte dei tempi. Solo a buio quasi fatto ci è dato di uscire allo scoperto. Stiriamo le membra intirizzite sotto un tramonto ancora non del tutto silenzioso. Domani è un altro giorno. Oggi siamo fuori, in programma una sortita nei dintorni della laguna. Prima tappa sono i prati ricamati dalla brina, ragnatele comprese, che la nebbia tiene prigionieri per le prime ore del mattino. Dopo colazione e una foto-ricordo ripartiamo alla volta dei grifoni, andando ad affacciarci ad una gola rocciosa che s'apre nel tavolato a ospitare i nidi dei grandi avvoltoi. Sbagliando strada ne troviamo una seconda colonia, pure questa avvolta dalla nebbia. Ma all'affaccio sul nostro canyon si fa trovare un sole già di primavera, ed è impossibile resistere al fascino dei grandi veleggiatori che roteano sulle termiche: le raffiche degli otturatori si sprecano e di Spagne così conveniamo che ne vorremmo tutti, e tutti i giorni. Ma la laguna chiama. Speriamo in un viavai d'ali che riempia il cielo tinto del crepuscolo e intanto giochiamo col canneto, le sue forme, la luce. Prima che faccia buio un drappello di cinghiali fa outing e punta spedito all'altra sponda. Come un raduno di modelle, centinaia di gru si specchiano nella lama d'acqua che riflette il tramonto. Terzo giorno. Ancor prima di entrare nel capanno scelgo la prossima foto. Una fila d'alberi dietro cui si staglia il profilo ondulato di un crinale, con l'umidità della notte che sale dalla terra indorata dal sole: è lì che attenderò il passaggio di uno stormo. Stamani il cielo fibrilla di vita e lo farà fino a sera. Una miriade di gru volteggia in alto, nuvola tra le nuvole, poi un primo gruppo si posa nel lagunazo (la laguna minore) a cento metri dal mio nascondiglio. Durerà fino a fine pomeriggio, è la migrazione di ritorno che è forse iniziata. Dal cielo "piovono" gru, a centinaia appaiono all'orizzonte poi venendo a posarsi accanto alle altre. Tento una stima e arrivo a duemila, ma verso le 17 arriveranno forse a mille in più. Sul colle davanti a me le auto dei birdwatchers non smettono di accorrere allo spettacolo. Metto in conto un panning ma non so per quando, e a pensarci arriva il rollio di una motozappa! Due contadini sono a cinquanta metri da me ed hanno un orto (nemmeno abusivo, saprò poi) da accudire, la stagione delle semine si avvicina. Le gru partono a piccoli gruppi, una breve corsa ad ali spiegate e via in aria a cercare un angolo di paradiso più tranquillo. Usciamo dai capanni per l'ultima volta. All'indomani c'è ancora un mattino da esplorare, riprendere, assaporare. Facciamo il ritratto alla luce vivida che colpisce un piccolo albero, una chiesa rurale con la sua corte in pietra, una starna solitaria in mezzo a un prato. Messe le ruote ormai sull'autostrada uno stormo lontano appare all'orizzonte. La strada verso nord è ancora lunga e da qualche parte un nido andrà costruito di nuovo. Nonostante tutto. Da alcune settimane, vista la grande richiesta, ho riproposto la formula dei Workshop avanzati. Devo e voglio sempre spiegare bene di che cosa si tratta, visto anche l'equivoco in cui molti cadono considerandoli WS rivolti unicamente ai fotografi più bravi. Non è così, o meglio non è solo così! Si tratta, invece, di workshop che di "avanzato" hanno soprattutto le modalità. Infatti, al contrario dei WS "normali", li propongo nei soli giorni feriali e unicamente per piccoli gruppi di fotografi: per la precisione, da 2 a 4 persone. Con tali modalità, è evidente la maggior fruttuosità del lavoro sul campo per ciascun partecipante. Per proporre e gestire i WS avanzati utilizzo unicamente un nuovo strumento, e cioé un gruppo su WhatsApp: ideale per una comunicazione veloce, riservata, sintetica. Gli iscritti ricevono mediamente un messaggio a settimana da me, contenente le caratteristiche essenziali del WS proposto, e gli interessati possono contattarmi rapidamente per iscriversi e prendere accordi. Per essere inseriti nel gruppo WhatsApp "WS avanzati" potete scrivermi un messaggio WhatsApp al mio numero di telefono 3473674621. Conduco questo tipo di WS anche su richiesta. Bastano 2 persone che si accordino tra loro e il WS parte, in data da concordare insieme. Le modalità per partecipare ai WS avanzati sono a questa pagina del sito. Nelle ultime settimane ho condotto WS avanzati al parco d'Abruzzo, in quello della Maremma, sul monte Velino. Altri ne condurrò nelle prossime settimane nei boschi più belli del Lazio, nelle lagune dei fenicotteri, al parco del Circeo, in luoghi speciali dell'Appennino ... in cerca di animali, paesaggi, neve, grande natura. Stay tuned! |
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