Insomma, per la salvezza di Rupicapra pyrenaica ornata c'è ancora da lavorare.
Giovedi scorso altra sgambata al parco nazionale d'Abruzzo, questa volta per cercare di riprendere in modo soddisfacente un animale tra i più belli e caratteristici del nostro Appennino: il camoscio d'Abruzzo. E' proprio durante la stagione invernale, infatti, che questo ungulato mostra il suo abito più bello con il mantello che si arricchisce di un pelame folto, assai più scuro e contrastato di quello estivo. Ho naturalmente trovato un paesaggio innevato, ma non quanto credevo. Sui versanti esposti a meridione, infatti, le temperature raggiunte a metà giornata hanno chiazzato di grigio-roccia il manto bianco. Di notte e alle ore crepuscolari, invece, bel freddo intenso (al mio arrivo prima dell'alba -13°) che forma piccole stalattiti di ghiaccio nelle grotte lungo il sentiero e mette a dura prova i piccoli passeriformi come le cince bigie. Da acrobati nati quali sono, trovo i camosci a brucare tra le cenge più verticali. Più pesanti e numerosi i cervi, che affondando nella neve si spostano a piccoli gruppi al coperto degli ultimi lembi di bosco. Due i passaggi dell'aquila, ma rapidi e per giunta proprio sulla mia verticale: impossibile da inquadrare col 500 montato sul cavalletto! Poco dopo lei, nel cielo è passata una nuvola di gracchi alpini. Ne ho contati un centinaio, fantastici animali che sembrano farsi beffa delle condizioni ambientali proibitive chiamandosi l'un l'altro col ripetuto zirrr e sfarfalleggiando senza apparente destinazione. Proprio in questi giorni il parco nazionale d'Abruzzo è stato consultato dalla IUCN-Unione internazionale per la conservazione della natura allo scopo di valutare una revisione dello status del camoscio d'Abruzzo. La proposta è di assegnare al "popolo delle rocce" non più lo status attuale di endangered (a rischio di estinzione) ma quello di vulnerable, soprattutto in virtù dell'aumentato contingente formatosi sull'Appennino grazie ai parchi a seguito delle operazioni di reintroduzione attuate negli ultimi anni tra Majella, Gran Sasso e Sibillini (ed oggi il numero complessivo dei camosci è intorno alle 1500 unità). Il parere del parco è stato assai prudente, forse per il timore di un allentarsi dell'attenzione della comunità scientifica su uno dei suoi gioielli.
Insomma, per la salvezza di Rupicapra pyrenaica ornata c'è ancora da lavorare.
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Ieri giornata sul versante settentrionale del parco nazionale d'Abruzzo, Lazio, Molise. Molte ore di nevicata avevano ammantato tutto di bianco. Le ciaspole affondavano di dieci centimetri nella neve fresca, ma prima del ritorno della bufera sono riuscito a camminare per 3-4 ore. Poi il sole è uscito di nuovo. Generalmente non frequento più le aree faunistiche, ma questa volta ho fatto un'eccezione e devo dire che veder ciondolare l'orso marsicano nel paesaggio innevato non è la stessa cosa che nel resto dell'anno. Ed ho anche osservato un comportamento del cervo che non conoscevo. Ho visto un esemplare rizzarsi ripetutamente sulle zampe posteriori non solo per cercare qualcosa da mangiare sui rami bassi degli alberi, ma pure per far cadere foglie e piccoli frutti utilizzando l'imponente palco (a sette punte) a mo' di rastrello!
Ancora sulla neve, finalmente arrivata. Ieri. E' una giornata tersa e gelida e all'alba sono già sul posto. Dall'autostrada ai due solchi nel bianco della carrareccia - le catene le ho dietro, ma fortunatamente non servono - l'auto s'infila nella vallata che via via si stringe verso il valico. Arrivo alla fonte e parcheggio, calzo scarponi e ghette. Sui cardi i cristalli di ghiaccio si dispongono ordinatamente, faccio loro qualche scatto nella luce dorata del primo mattino e poi anche ai crinali intorno, dove il fresco manto bianco - dove finiscono i faggi - mette in evidenza le morbide forme della montagna. Inizio a salire, come d'abitudine, con 500 e cavalletto in spalla pronto a (quasi!) ogni evenienza. Passa una poiana, un capriolo abbaia nel bosco, il grugnito di alcuni cinghiali filtra tra i tronchi. Poi accade. Cammino in un tratto scoperto, sul pendio ondulato giusto qualche cespuglio di rosa selvatica, i primi faggi sono alla mia destra. Superato un cespuglio con lo sguardo in terra, attento a delle impronte di lepre sulla neve, colgo una sensazione di movimento e mi volto di novanta gradi verso sinistra. Un lupo è a trenta metri da me. Naturalmente tutto dura una frazione di secondo. Ha appena superato un piccolo dosso che mi copriva al suo sguardo. Lui si precipita al dietrofront, io all'inseguimento. Tiro giù dalle spalle tele e Gitzo e raggiungo in qualche modo il dosso, contando di fotografarlo almeno mentre si allontana. Dissolto nel nulla. Ma la neve è un libro scritto e allora ne ripercorro il cammino - prima veloce, come si conviene a una fuga, poi subito tornato sicuro di sé a passo costante e composto. Non appena riguadagnata la copertura del dosso ha piegato a destra, raggiunto gli alberi, sceso nel fosso e - visto frattanto il mio scatto in avanti - tagliato un'altra grande radura alle mie spalle: ha fatto il giro! Rimango basito, senza parole. In apparenza non la via più immediata per mettersi al sicuro (quella era girarsi di 180° e allontanarsi il più possibile), ma di certo la più efficace e la meno dispendiosa. Che animale fantastico... Ma un fotografo, e per giunta professionista, perde punti se confessa apertamente del groppo in gola a mettere gli scarponi nell'incavo di quelle orme, e dei duecento metri a ricostruire ogni passo e dunque ogni decisione/istinto - perché passare di lì e non qui? Quando, ben presto, il sole scende dietro le montagne la temperatura va a picco. Subito a -5°, e poi arriverà a -11°. Un cervo è concentrato dall'offerta di cibo rappresentata dagli amenti di un carpino: poca cosa, ma è quel che offre adesso questo mondo minerale.
Dopo il tramonto, nella pianura, la doppia piramide del Velino-Cafornia domina un lago di nebbia. Chissà stanotte come gli sarà andata la caccia... E' cominciata così. Ben due sveglie ignorate, gli occhi increduli davanti all'orologio ed un discreto elenco di santi scomodati dal loro etereo olimpo... A quel punto figlio accompagnato a scuola, tanto l'incubo del traffico è ormai una certezza. Ma poi parco d'Abruzzo era deciso, e parco d'Abruzzo sarà. Arrivo ch'è già tardi, tardissimo, rallentato ancora dal ghiaccio che rende la strada di Forca d'Acero uno scivolo mortale puntato su Opi. Ma aveva già pensato la neve, caduta copiosa nella notte, a cambiare il programma. Calzati gli scarponi m'incammino sul sentiero, cercandone un po' l'inizio tra gli alberi visto che il bianco ha cancellato quasi tutto... E in alto ad attendermi, mmh, c'è la bufera. I cervi ci sono, direi un paio di centinaia. Da una parte un gruppone di femmine, cui si uniscono giovani maschi e pochissimi esemplari dal palco a molte punte. I fiocchi che cadono fitti impediscono una vista chiara, certo più a me che a loro, ma insomma resta uno spettacolo. Dalla parte opposta della conca, ecco i maschi che battono il pendio alla ricerca di qualche erba ancora non seppellita del tutto. Poi la nevicata cessa e la luce inizia pian piano a migliorare. Da dietro alcune rocce arriva quel che speravo. Una femmina di camoscio col suo piccolo, assai più guardingo di lei che punta curiosa quello strano albero (NB - nota tecnica: ascoltando il rumore dello scatto ha esitato anche lei a lungo, poi come sono passato in modalità scatto silenzioso ha rotto gli indugi). Poi - perché le giornate sfigate, lo sappiamo, si riconoscono subito: ma pure quelle niente male - arriva anche lei, l'aquila. Uno splendido esemplare immaturo, di uno o due anni d'età direi, dalle caratteristiche macchie bianche che ne chiazzano ventralmente il piumaggio. Si posa su una roccia, poi mi vede e riparte subito ma per planare senza fretta sui massi che affiorano sul fianco della montagna. E' sopra il gruppo dei cervi maschi, li sorvola a disegnare cerchi di aria gelida sui loro palchi già solo pesanti, poi sparisce nel cielo bianco delle creste. A tratti esce il sole e accende le rocce dei picchi vicini, dove agli escursionisti è proibito inoltrarsi. I pendii ammantati dalle magre erbe autunnali si fanno lucenti, mentre la faggeta spoglia mostra grafismi disegnati dalle frane. Due cervi si allontanano dal gruppo procedendo in linea retta nella neve, passo dopo passo, verso un crinale. Foto o no, è un momento magico.
Dopo il tramonto percorro a ritroso il mio cammino e un paio d'ore più tardi, verso l'autostrada, guardando il termometro dell'auto segnare -10° mi coglie un brivido pensando a quel mondo al piano di sopra. Coi suoi ritmi e riti eterni. Deve, deve assolutamente restare così. Nonostante tutto, a due ore da Roma capita di ammirare spettacoli come la corsa di quest'orso. Che ho fotografato ieri all'alba al parco nazionale d'Abruzzo. Per aggiornamenti sulle ricerche e censimenti in corso che interessano questa fantastica specie, è utile leggere questa intervista all'ottimo Paolo Ciucci dell'Università La Sapienza di Roma.
Gli ambienti del parco saranno teatro del Photo Tour dedicato ai cervi (ma pure all'orso...) del prossimo weekend. Sono appena tornato da una settimana in Abruzzo. Che dire, spesso mi trovo a pensare le mie amate montagne del Lazio come la periferia dell'Impero... Tra Majella e parco nazionale d'Abruzzo, Lazio, Molise ho messo in fila i miei files: accolto da una coppia di aquile reali (sopra Roccamorice); accompagnato e deliziato da camosci e arvicole delle nevi; congedato dal coro di bramiti dei cervi in amore. In attesa di mettere qualcosa sul blog posto intanto questa foto (cliccare per ingrandire). Si tratta di un magnifico maschio di cervo che ho rinvenuto morto sulle montagne del Pnalm, probabilmente deceduto per "crepacuore". In queste settimane di tempesta ormonale, infatti, unicamente attratti dal richiamo della riproduzione per cui trascurano anche di nutrirsi, capita che alcuni maschi non reggano l'immane stress fisico e muoiano. Non so, quella luce tra le palpebre socchiuse a qualcuno farà un effetto macabro - pur sempre un cadavere di qualche centinaio di chili. A me invece ha trasmesso un senso profondo di pace e di armonia, ed è ciò che ho provato a cogliere nell'immagine. A chi ha letto il precedente post, sulla nuova comparsa dell'orso alla Duchessa, devo dare una pessima notizia.
Il 17 febbraio, giovedi scorso, è stato firmato presso la Presidenza del Consiglio a Roma un Protocollo d'intesa "per il rilancio dello sviluppo e la valorizzazione dell'area aquilana del cratere colpita dal terremoto del 6 aprile 2009, ai fini ambientali e turistici". Firmatari la Regione Abruzzo, la Provincia dell'Aquila, i Comuni dell'Aquila, Lucoli, Ovindoli, Rocca di Cambio, Rocca di Mezzo nonchè - davvero incredibile questa - gli enti parco del Gran Sasso-Laga e del Sirente-Velino. Mi sono letto le 8 pagine del protocollo. In buona sostanza l'accordo mira al "potenziamento e miglioramento dell’offerta di impianti per lo sci alpino e nordico, nonché l’integrazione funzionale degli attuali siti di Montecristo e Campo Imperatore sul Gran Sasso aquilano da un lato, e dall’altro lato di Monte Magnola e di Campo Felice nell’area del Velino- Sirente, ed inoltre lo sviluppo della fruizione sciistica delle aree naturalmente vocate". Ho aperto la mappa. Unire gli impianti di Magnola e Campo Felice vuol dire subito una cosa: tagliare al suo cuore (i piani di Pezza) il corridoio ecologico tra parco del Sirente-Velino e riserva della Duchessa. Vuol dire impedire all'orso marsicano ogni possibile espansione del suo areale nel reatino. Vuol dire che il ministero dell'Ambiente, se renderà possibile la realizzazione del progetto, fa carta straccia del suo PATOM... E lo stesso dicasi per il previsto ampliamento delle piste sul Gran Sasso. Ciò in un momento storico di declino dello sci da discesa appenninico, a causa di inverni sempre più miti e delle quote non particolarmente elevate. Partiranno gli appelli - se dovranno partire - alla mobilitazione, alla stampa, all'Europa. Certo è che l'Abruzzo "Regione dei Parchi", così agendo, abdicherebbe al suo ruolo per un piatto di lenticchie. Ma, soprattutto, è giunto il momento di riflettere sulla debolezza dei nostri parchi. Dati per acquisiti e invece - Stelvio docet - dimenticati al primo frusciare di banconote. |
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