Qui in alto alcuni degli scatti migliori (no crop, solo a quello del biancone un'aggiustatina all'inquadratura). Di particolare interesse i grillai, trovati in un gruppetto di 5-6 (e forse di più) a caccia di insetti sui campi nella bassa valle del Mignone. Quello in foto s'era appena involato dall'eucalipto utilizzato come posatoio, per poi riprendere la caccia in cielo assieme al gruppo: bellissimi !
Le colline di Tolfa, sempre loro. Ci sono stato due volte in questi ultimi dieci giorni ma quando il sole va giù hai fatto sempre troppe poche cose, il giro che avevi in mente resta incompiuto. Ovunque motivi per una sosta, una "sbinocolata", un appostamento.
Qui in alto alcuni degli scatti migliori (no crop, solo a quello del biancone un'aggiustatina all'inquadratura). Di particolare interesse i grillai, trovati in un gruppetto di 5-6 (e forse di più) a caccia di insetti sui campi nella bassa valle del Mignone. Quello in foto s'era appena involato dall'eucalipto utilizzato come posatoio, per poi riprendere la caccia in cielo assieme al gruppo: bellissimi !
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Ritrae una vipera che ho incontrato alcuni giorni fa nel bosco ai piedi di monte Tosto, sul versante meridionale dei monti della Tolfa. In home page del sito da domani.
“Ma perché proprio l’Occhione?”. Questa l’inevitabile domanda a chi, con poche speranze, tenta di spiegare la propria speciale passione rivolta ad un uccello effettivamente singolare. Non maestoso come un’aquila, né colorato come un gruccione, e tantomeno elegante come un’avocetta. Ma piuttosto dimesso nella colorazione del piumaggio, habituée di ambienti tutt’altro che spettacolari – campi aridi e letti fluviali ciottolosi – e addirittura buffo nei suoi lineamenti sproporzionati e quasi fumettistici. E invece proprio lui, Burhinus oedicnemus, caradriforme di 40-45 cm, lunghe zampe e soprattutto grandi occhi gialli, è l’oggetto esclusivo di un magnifico libro scritto dall’ornitologo viterbese Angelo Meschini e appena pubblicato da Edizioni Belvedere. Magnifico intanto perché ricco di informazioni, esauriente nel suo esplorare tutti gli aspetti della biologia di questa specie affascinante, arricchito da disegni e fotografie di qualità. Ma ad andare sottolineata è soprattutto poi la riuscita amalgama tra approccio scientifico e annotazioni apparentemente di dettaglio, talvolta pure emozioni, frutto di un’esperienza maturata sul campo nonché di una passione profonda. Di libri come questo se ne vorrebbero vedere di più, ecco, anche in Italia. Lavori seri e sinceri, capaci anche di coinvolgere e fornire nuovi spunti e motivazioni a naturalisti, birdwatchers, fotografi. Meschini A., 2010 - L’Occhione. Tra i fiumi e le pietre, Edizioni Belvedere, pp.174, euro 25 (ordinabile su www.edizionibelvedere.it) Da qualche anno sto seguendo un mio antico amore, messo da parte troppo a lungo: il lanario. Per la mia tesi in Scienze Naturali vent'anni fa m'ero messo in testa di studiarlo sui monti della Tolfa, figurarsi. Oggi questo straordinario falcone, per certi versi dalla biologia ancora poco nota (parlo della sua sottospecie europea, Falco biarmicus feldeggii), è il rapace più raro del Lazio.
Le sue esigenze ecologiche e il suo comportamento estremamente elusivo lo rendono un vero fantasma. Come riportato dalla letteratura, il lanario è meno pretenzioso del pellegrino rispetto all'ampiezza della parete prescelta per il nido. Sa accontentarsi di poco: una scarpata di arenaria, un calanco tra i campi. Il pellegrino no, da bestia che ama la dimensione verticale pretende a tutti i costi parecchie decine di metri tra il "suo" terrazzino (come quello nella foto qui sopra, di qualche giorno fa) e la base della parete. Visitando molti siti riproduttivi di lanario - oltre ai noti parametri come l'esposizione, prevalentemente S o SE, oppure la quota mediamente bassa - mi ha colpito l'assenza di pareti prospicienti. Davanti al nido, insomma, Falco biarmicus almeno da noi vuole solo una cosa: il vuoto, l'aria. E non, piuttosto, l'altra sponda di una gola un po' stretta oppure l'orlo troppo vicino di una cava dismessa. In questo, e non solo in questo, si dimostra animale assai piu' accorto del pellegrino. Ma il "problema" del lanario è un altro. E cioè che così facendo, snobbando insomma i siti paesaggisticamente più spettacolari come possono essere le pareti rocciose più vertiginose e preferendo quelli magari a margine degli ambienti rurali, rimane fuori dalle aree protette. Dai parchi, insomma. Non a caso nel Lazio i siti riproduttivi della specie, appena 5-7, sono tutti al di fuori delle aree protette o al più - in un solo caso - al margine. Più o meno lo stesso accade in Toscana e probabilmente anche in Molise, Sicilia e altrove. Il lanario rappresenta insomma, almeno da noi, un mondo rurale mediterraneo fatto di colture estensive, casolari isolati, boschetti e siepi, incolti. Un mondo in via di estinzione. Per questo è una specie dal valore anche simbolico e mi ci sono appassionato, ragionando pure - da comunicatore, cioè il mio mestiere, lasciando ad altri la propria parte - sul modo per fare qualcosa allo scopo di contrastare (per quanto possibile) un declino ultimamente più marcato. C'è un SOS da lanciare, insomma. Speriamo di arrivare in tempo. Questo mese il servizio di copertina su PleinAir è la mia Svezia centrale. Un itinerario tra i parchi nazionali di Hamra, Fulufjället, Skuleskogen (dove ho fotografato la spettacolare fenditura dello Slåttdalsskrevan, una spaccatura nella roccia - la vedete qui sopra - alta quaranta metri e larga appena sei) e altro.
Il servizio comprende un'intervista al fotografo naturalista Vitantonio Dell'Orto, che ho conosciuto in Svezia e per la precisione a Särna, dove vive da qualche tempo. Aquila di mare (subadulto) fotografata assieme al suo riflesso sul bordo di una pozza al parco nazionale di Hortobagy, Ungheria, che ospita un nutrito contingente di svernanti. Per andare alla foto clicca qui
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