Ieri bella giornata sulla neve dei Simbruini. Mai capito chi sostiene che il paesaggio invernale è in bianco e nero...
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La luce dell'alba. La faggeta. L'aquila. Il lupo. L'abbaiare di un capriolo. Il mio Appennino è così e i giorni e le stagioni gli scorrono addosso senza cambiare la sostanza. La perfezione, d'altronde, non chiede aggiustamenti. Sulla neve dei Simbruini ho trovato impronte di lupo anche ieri. Tre piste che si srotolavano sull'altipiano fino a tuffarsi nel bosco. Le hanno fatte nella notte, credo. Le ho seguite con le ciaspole inseguendo il sogno di un incontro. Le nuvole si spostavano fino ad avvolgere le cime, poi le scoprivano. Tutta la compagnia che ho avuto è stata quella di un fringuello alpino, che si è sporto dalle rocce per guardarmi da vicino. Lascia che la pace della natura entri in te, come i raggi del sole penetrano le fronde degli alberi. Lascia che i venti ti soffino dentro la loro freschezza e che i temporali ti carichino della loro energia, allora le tue preoccupazioni cadranno come foglie in autunno.
John Muir In previsione del Workshop di domenica 16 dicembre, ieri sono stato al parco nazionale del Circeo. Certamente senza sapori wild, snobbata da molti appassionati per via della diffusa antropizzazione, quest'area protetta in realtà mantiene nonostante tutto i suoi connotati di naturalità. E soprattutto chi vi si reca per osservare o fotografare uccelli trova pane per i suoi denti. Purché si vada nei luoghi giusti. Quello intorno l'alba è sempre un momento magico. I colori pastello del cielo e, di riflesso, dell'acqua offrono fondali d'eccezione. Nei laghi e le zone umide adiacenti ci sono un sacco di uccelli. Anatre e cormorani, soprattutto, ma anche limicoli, ardeidi, falchi di palude in continui voli di perlustrazione, passeriformi in frenetica attività per vincere la battaglia quotidiana col freddo e la fame. Contrariamente all'altr'anno, ora le piscine della foresta demaniale - la grande "selva del Circeo" visitata e ricordata anche dal grande viaggiatore ottocentesco Ferdinand Gregorovius - sono allagate. Ed è possibile così fotografare quest'ambiente assolutamente unico, dove le querce affondano le radici in lame d'acqua ingombre di foglie e rami caduti al suolo. Peccato sia possibile l'accesso soltanto ad una piscina, visto che le altre sono tutte incluse entro zone di riserva integrale (ma ha un senso?). Il breve pomeriggio, come d'abitudine, lo dedico alle centinaia di folaghe ed anatre - soprattutto moriglioni - che affollano il lago di Fogliano. Fino al tramonto di una tersa giornata invernale. Un'altra tavolozza di luci e forme e colori offerta dal Circeo, in fondo un po' la Camargue de noantri fotografi e naturalisti romani. E meno male che c'è!
Ancora sulla neve, finalmente arrivata. Ieri. E' una giornata tersa e gelida e all'alba sono già sul posto. Dall'autostrada ai due solchi nel bianco della carrareccia - le catene le ho dietro, ma fortunatamente non servono - l'auto s'infila nella vallata che via via si stringe verso il valico. Arrivo alla fonte e parcheggio, calzo scarponi e ghette. Sui cardi i cristalli di ghiaccio si dispongono ordinatamente, faccio loro qualche scatto nella luce dorata del primo mattino e poi anche ai crinali intorno, dove il fresco manto bianco - dove finiscono i faggi - mette in evidenza le morbide forme della montagna. Inizio a salire, come d'abitudine, con 500 e cavalletto in spalla pronto a (quasi!) ogni evenienza. Passa una poiana, un capriolo abbaia nel bosco, il grugnito di alcuni cinghiali filtra tra i tronchi. Poi accade. Cammino in un tratto scoperto, sul pendio ondulato giusto qualche cespuglio di rosa selvatica, i primi faggi sono alla mia destra. Superato un cespuglio con lo sguardo in terra, attento a delle impronte di lepre sulla neve, colgo una sensazione di movimento e mi volto di novanta gradi verso sinistra. Un lupo è a trenta metri da me. Naturalmente tutto dura una frazione di secondo. Ha appena superato un piccolo dosso che mi copriva al suo sguardo. Lui si precipita al dietrofront, io all'inseguimento. Tiro giù dalle spalle tele e Gitzo e raggiungo in qualche modo il dosso, contando di fotografarlo almeno mentre si allontana. Dissolto nel nulla. Ma la neve è un libro scritto e allora ne ripercorro il cammino - prima veloce, come si conviene a una fuga, poi subito tornato sicuro di sé a passo costante e composto. Non appena riguadagnata la copertura del dosso ha piegato a destra, raggiunto gli alberi, sceso nel fosso e - visto frattanto il mio scatto in avanti - tagliato un'altra grande radura alle mie spalle: ha fatto il giro! Rimango basito, senza parole. In apparenza non la via più immediata per mettersi al sicuro (quella era girarsi di 180° e allontanarsi il più possibile), ma di certo la più efficace e la meno dispendiosa. Che animale fantastico... Ma un fotografo, e per giunta professionista, perde punti se confessa apertamente del groppo in gola a mettere gli scarponi nell'incavo di quelle orme, e dei duecento metri a ricostruire ogni passo e dunque ogni decisione/istinto - perché passare di lì e non qui? Quando, ben presto, il sole scende dietro le montagne la temperatura va a picco. Subito a -5°, e poi arriverà a -11°. Un cervo è concentrato dall'offerta di cibo rappresentata dagli amenti di un carpino: poca cosa, ma è quel che offre adesso questo mondo minerale.
Dopo il tramonto, nella pianura, la doppia piramide del Velino-Cafornia domina un lago di nebbia. Chissà stanotte come gli sarà andata la caccia... E' cominciata così. Ben due sveglie ignorate, gli occhi increduli davanti all'orologio ed un discreto elenco di santi scomodati dal loro etereo olimpo... A quel punto figlio accompagnato a scuola, tanto l'incubo del traffico è ormai una certezza. Ma poi parco d'Abruzzo era deciso, e parco d'Abruzzo sarà. Arrivo ch'è già tardi, tardissimo, rallentato ancora dal ghiaccio che rende la strada di Forca d'Acero uno scivolo mortale puntato su Opi. Ma aveva già pensato la neve, caduta copiosa nella notte, a cambiare il programma. Calzati gli scarponi m'incammino sul sentiero, cercandone un po' l'inizio tra gli alberi visto che il bianco ha cancellato quasi tutto... E in alto ad attendermi, mmh, c'è la bufera. I cervi ci sono, direi un paio di centinaia. Da una parte un gruppone di femmine, cui si uniscono giovani maschi e pochissimi esemplari dal palco a molte punte. I fiocchi che cadono fitti impediscono una vista chiara, certo più a me che a loro, ma insomma resta uno spettacolo. Dalla parte opposta della conca, ecco i maschi che battono il pendio alla ricerca di qualche erba ancora non seppellita del tutto. Poi la nevicata cessa e la luce inizia pian piano a migliorare. Da dietro alcune rocce arriva quel che speravo. Una femmina di camoscio col suo piccolo, assai più guardingo di lei che punta curiosa quello strano albero (NB - nota tecnica: ascoltando il rumore dello scatto ha esitato anche lei a lungo, poi come sono passato in modalità scatto silenzioso ha rotto gli indugi). Poi - perché le giornate sfigate, lo sappiamo, si riconoscono subito: ma pure quelle niente male - arriva anche lei, l'aquila. Uno splendido esemplare immaturo, di uno o due anni d'età direi, dalle caratteristiche macchie bianche che ne chiazzano ventralmente il piumaggio. Si posa su una roccia, poi mi vede e riparte subito ma per planare senza fretta sui massi che affiorano sul fianco della montagna. E' sopra il gruppo dei cervi maschi, li sorvola a disegnare cerchi di aria gelida sui loro palchi già solo pesanti, poi sparisce nel cielo bianco delle creste. A tratti esce il sole e accende le rocce dei picchi vicini, dove agli escursionisti è proibito inoltrarsi. I pendii ammantati dalle magre erbe autunnali si fanno lucenti, mentre la faggeta spoglia mostra grafismi disegnati dalle frane. Due cervi si allontanano dal gruppo procedendo in linea retta nella neve, passo dopo passo, verso un crinale. Foto o no, è un momento magico.
Dopo il tramonto percorro a ritroso il mio cammino e un paio d'ore più tardi, verso l'autostrada, guardando il termometro dell'auto segnare -10° mi coglie un brivido pensando a quel mondo al piano di sopra. Coi suoi ritmi e riti eterni. Deve, deve assolutamente restare così. Durante i workshops generalmente non faccio foto, per seguire meglio i partecipanti ed assisterli in ogni fase della ripresa. Così domenica, negli splendidi ambienti del lago di Vico e del monte Cimino teatro dell'ultimo WS, m'era rimasta voglia di qualche scatto mio. Ed oggi sono tornato. L'autunno volge al termine, ma la quota insolitamente bassa di questi boschi - in particolare la faggeta di monte Venere - consente ancora di cogliere i colori delle foglie sui rami.
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