Il mio Appennino è così e i giorni e le stagioni gli scorrono addosso senza cambiare la sostanza. La perfezione, d'altronde, non chiede aggiustamenti.
John Muir
La luce dell'alba. La faggeta. L'aquila. Il lupo. L'abbaiare di un capriolo. Il mio Appennino è così e i giorni e le stagioni gli scorrono addosso senza cambiare la sostanza. La perfezione, d'altronde, non chiede aggiustamenti. Sulla neve dei Simbruini ho trovato impronte di lupo anche ieri. Tre piste che si srotolavano sull'altipiano fino a tuffarsi nel bosco. Le hanno fatte nella notte, credo. Le ho seguite con le ciaspole inseguendo il sogno di un incontro. Le nuvole si spostavano fino ad avvolgere le cime, poi le scoprivano. Tutta la compagnia che ho avuto è stata quella di un fringuello alpino, che si è sporto dalle rocce per guardarmi da vicino. Lascia che la pace della natura entri in te, come i raggi del sole penetrano le fronde degli alberi. Lascia che i venti ti soffino dentro la loro freschezza e che i temporali ti carichino della loro energia, allora le tue preoccupazioni cadranno come foglie in autunno.
John Muir
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Ancora sulla neve, finalmente arrivata. Ieri. E' una giornata tersa e gelida e all'alba sono già sul posto. Dall'autostrada ai due solchi nel bianco della carrareccia - le catene le ho dietro, ma fortunatamente non servono - l'auto s'infila nella vallata che via via si stringe verso il valico. Arrivo alla fonte e parcheggio, calzo scarponi e ghette. Sui cardi i cristalli di ghiaccio si dispongono ordinatamente, faccio loro qualche scatto nella luce dorata del primo mattino e poi anche ai crinali intorno, dove il fresco manto bianco - dove finiscono i faggi - mette in evidenza le morbide forme della montagna. Inizio a salire, come d'abitudine, con 500 e cavalletto in spalla pronto a (quasi!) ogni evenienza. Passa una poiana, un capriolo abbaia nel bosco, il grugnito di alcuni cinghiali filtra tra i tronchi. Poi accade. Cammino in un tratto scoperto, sul pendio ondulato giusto qualche cespuglio di rosa selvatica, i primi faggi sono alla mia destra. Superato un cespuglio con lo sguardo in terra, attento a delle impronte di lepre sulla neve, colgo una sensazione di movimento e mi volto di novanta gradi verso sinistra. Un lupo è a trenta metri da me. Naturalmente tutto dura una frazione di secondo. Ha appena superato un piccolo dosso che mi copriva al suo sguardo. Lui si precipita al dietrofront, io all'inseguimento. Tiro giù dalle spalle tele e Gitzo e raggiungo in qualche modo il dosso, contando di fotografarlo almeno mentre si allontana. Dissolto nel nulla. Ma la neve è un libro scritto e allora ne ripercorro il cammino - prima veloce, come si conviene a una fuga, poi subito tornato sicuro di sé a passo costante e composto. Non appena riguadagnata la copertura del dosso ha piegato a destra, raggiunto gli alberi, sceso nel fosso e - visto frattanto il mio scatto in avanti - tagliato un'altra grande radura alle mie spalle: ha fatto il giro! Rimango basito, senza parole. In apparenza non la via più immediata per mettersi al sicuro (quella era girarsi di 180° e allontanarsi il più possibile), ma di certo la più efficace e la meno dispendiosa. Che animale fantastico... Ma un fotografo, e per giunta professionista, perde punti se confessa apertamente del groppo in gola a mettere gli scarponi nell'incavo di quelle orme, e dei duecento metri a ricostruire ogni passo e dunque ogni decisione/istinto - perché passare di lì e non qui? Quando, ben presto, il sole scende dietro le montagne la temperatura va a picco. Subito a -5°, e poi arriverà a -11°. Un cervo è concentrato dall'offerta di cibo rappresentata dagli amenti di un carpino: poca cosa, ma è quel che offre adesso questo mondo minerale.
Dopo il tramonto, nella pianura, la doppia piramide del Velino-Cafornia domina un lago di nebbia. Chissà stanotte come gli sarà andata la caccia... Con l'uscita didattica di domani del Corso avanzato chiudo la stagione di attività di questo anno - il primo per me - dedicato all'insegnamento della fotografia naturalistica. Una straordinaria esperienza in cui mi sono gettato anima e corpo, all'inizio non senza esitazione, e che ha finito invece per assorbire buona parte del mio tempo con una soddisfazione che definire piena è riduttivo.
Che esperienza andarsene in giro a condividere la bellezza della natura di casa nostra - e farsene ambasciatore - con il tramite di tempi, diaframmi & ISO. E che bella gente: avvocati e postini, bancari e pensionati, ingegneri ambientali e guide turistiche, tassisti e studenti, disegnatori e capi-cantiere... Da ottobre ad oggi circa 250 partecipanti a workshops, corsi e viaggi. Una bella Italia, mi viene spesso da pensare, e che mi da' quell'ottimismo sul nostro Paese che quasi sempre non mi ritrovo a portata di mano. Grazie a tutti!! A loro e a tutti quelli che seguono queste pagine dedico l'ultimo fotogramma di questo film, l'incontro di ieri al tramonto. Naturalmente sui monti Simbruini. Occhi negli occhi. Io che adesso me ne torno nell'assurda tana in città, tu nel fitto della faggeta. Ma ok, restiamo in contatto eh... Oggi. Esco dal garage di casa che sono le 4,30. Freddo cane. Due ore di auto ormai col pilota automatico e sono sui Simbruini. E' ancora buio e le nevicate eccezionali dei giorni scorsi rendono la strada a tratti irriconoscibile. Dopo una sosta al bar, sulla strada un gatto selvatico è irrigidito dalla morte. Ma non solo: è l'alba ed il termometro segna -13°. Ho un luogo da raggiungere e non mi faccio trovare impreparato dalla prima luce del giorno, poca. Piazzo il 500 e basta, per l'1,4x ci sarà tempo e poi l'ambiente è bello e merita un'inquadratura meno stretta. Arriva alle 7,29. Neanche a sperarci anche stavolta ma invece no, oggi arriva. Viene dal settore alto del bosco e quando l'indovino dietro le fronde spoglie dei faggi mi viene un groppo in gola, temo quasi di non riuscire a tenere ferma la Canon. Inizialmente procede spedito, scende diritto fino a un gruppo di alberi ma poi si ferma, esita. Si guarda intorno dieci volte, due passi in una direzione, si ferma. Adesso prende a correre, giù per il pendio. Un uomo rovinerebbe dopo due passi ma lui sulla neve vola. Sono senza parole, una scena di questa bellezza semplicemente non l'ho mai vista. E' turbato da qualcosa, forse dallo stesso rumore dello scatto a raffica della mia fotocamera anche se ci separano almeno 70 metri. Si ripara dietro un cespuglio ma ne esce subito, avvicinandosi infine a quel che gli interessa: un capriolo abbattuto ieri e che adesso giace supino nella neve. Ne prende un boccone congelato, strappandolo di forza coi denti, e se lo va a divorare dietro un gruppo più fitto di faggi dove quasi non lo vedo. Le cornacchie, ormai a decine, lo pressano e lui le attacca un paio di volte per disperderle. Finito di mangiare si allontana verso est risalendo la valle, con me che lo seguo nel mirino scaricando una raffica ogni volta che s'apre uno spazio tra gli alberi. Si ferma a urinare e capisco che è un giovane maschio.
7,54. E' l'ora dell'ultima foto, l'ultima di 205. Oggi un lupo mi ha regalato 25 minuti della sua ordinaria, selvaggia giornata. Anche ieri per i boschi dei Simbruini. Cinque ore di sgroppata senza incontrare anima viva - e purtroppo nemmeno beccacce, quest'inverno a singhiozzo non aiuta. Sui crinali in alto la neve resiste. Si cammina a fatica, zigzagando tra i faggi e spuntoni di roccia, seguendo a fatica l'orientamento nel susseguirsi di rilievi e avvallamenti mentre segui un branchetto di codibugnoli che si spostano festosi da una chioma all'altra. Ah, per chi trova lassù il paraluce di un 100-400: è mio ! Più in basso il mantello delle foglie secche ricopre il suolo del bosco. E' lì che una fatta assai recente di lupo troneggiava in un piccolo spiazzo, di quelli creati dai taglialegna. Gli ispidi peli neri del cinghiale erano ben evidenti, e l'odore di selvatico impressionante. Brivido. Mi sono seduto e guardato attorno a lungo. Immaginata la scena di caccia, forse di notte o forse no, chiusa dai grugniti acuti dell'ungulato mentre i compagni s'allontanavano di corsa senza poter fare nulla. Poi ho ripreso il sentiero ma il bosco non era lo stesso. Sull'ultimo numero di Wildlife - una delle tante profonde differenze tra Italia e Inghilterra - c'è un interessante articolo di Stephen Mills (foto di autori vari, tra cui quella celebre e mai ammirata abbastanza di Jim Brandenburg nonché la cover e altri scatti di Alex Badyaev) sul ritorno del lupo negli Usa. Nel 1995 e 1996 ventinove lupi vennero reintrodotti nell'Idaho e al parco nazionale di Yellowstone (provenivano dall'Alberta, Canada, e dalla British Columbia). Un ritorno voluto, cercato. E accompagnato da studi dei ricercatori - primo fra tutti David Mech - che negli anni hanno catturato più di quattrocento esemplari per prelevarne il Dna oppure applicare un radiocollare. Oggi tra i vari Stati si contano diverse migliaia di lupi, difficile dire quanti esattamente. 487 nella Greater Yellowstone Area e 97 entro i confini del gigantesco parco nazionale. Circa il 60 % di questi lupi vive in aree attraversate da una strada. Parliamo di grandi distese aperte, di praterie. Ed è soprattutto questa la spiegazione di un dato secondo me straordinario, e cioè che - leggo sempre su Wildlife - l'anno scorso a Yellowstone hanno visto un lupo più di 38.000 visitatori. Da noi è diverso. Luigi Boitani, il nostro più illustre lupologo, in un'intervista (pubblicata in Uomini e lupi) mi ha confessato di averne avvistati senza l'aiuto dei segnali dei collari radio non più di tre o quattro volte in quasi quarant'anni di ricerche assidue sul campo. Quanto al sottoscritto, in trent'anni di camminate sull'Appennino l'ho visto - e fotografato - una sola volta. Lo scorso luglio. La foto in alto, invece, è di un lupo in cattività. Il ritorno del lupo non è affare dei soli Stati Uniti. Nella vecchia e popolosa Europa, l'ultima notizia è della scorsa estate e riguarda l'avvistamento di un lupo prima in Belgio e poi in Olanda. Trent'anni fa, le uniche popolazioni occidentali - e tutte a ranghi ridotti - erano quelle di Portogallo, Spagna, Italia, Polonia e Finlandia. Adesso se ne stimano più di 2000 in Spagna, 1000 in Italia e Polonia, 12 branchi in Germania, 220 in Svezia meridionale e 200 sulle Alpi francesi. Forza lupi. "Vidi il grizzly irrigidirsi all'improvviso e alzarsi sulle zampe posteriori, lasciando cadere il suo salmone senza testa. Dilatò le narici ed emise un verso acuto simile a un latrato. Come un'apparizione, un torrente di lupi emerse dal limite della foresta. Quando arrivai a contarne tredici, il branco aveva già attraversato un quarto dell'estuario. Con le teste e le code alzate e le orecchie in avanti, si sparsero a ventaglio sulla piana di fango avanzando veloci e risoluti verso il grizzly. Il loro intento era chiaro. Ed erano belli". E' un brano de "I fantasmi della foresta", un libro appena uscito in edizione italiana per Orme Editori. L'ha scritto Ian McAllister, giornalista e fotografo canadese membro dell'Ilcp. Uno che vive con moglie e figli su un'isoletta della Colombia Britannica, paradiso terrestre della costa del Pacifico subito a sud dell'Alaska. Dalle sue quasi duecento pagine viene fuori con prepotenza, mi è parso, la proverbiale plasticità adattativa di Canis lupus. Spostamenti a nuoto per superare i bracci di mare tra un'isola e l'altra, cacce a ritmo dell'alternarsi di bassa ed alta marea, soprattutto pasti a base di salmoni, balene spiaggiate, persino calamari giganti !, restituiscono del superpredatore un ritratto alquanto diverso dal fantasma delle faggete del nostro Appennino. Libro piacevole, che ho letto d'un fiato, naturalmente invidioso di un rapporto pressoché quotidiano col lupo che ha fruttato all'Autore l'accettazione del branco - come attestano le troppo poche foto, in B/N, di corredo al volume. Certo è che un animale così, davvero un alter ego di Homo sapiens scevro di certi sofismi evolutivi propri dei Primati, merita tutto il nostro impegno per salvaguardarne la sopravvivenza. Nonostante i Claudio Sacchetto di turno. E' bello sapere che loro, i leghisti, sono un incidente della storia che passa: il lupo, un capolavoro dell'evoluzione che resta.
Simbruini, le otto di sera (sei ore fa). Sto attraversando in auto il pianoro nell'ultima luce del giorno e il temporale si avvicina. Le tordele s'involano al mio passaggio più tardi del solito, saranno i giovani dell'anno, e sul solito cespuglio l'averla piccola stavolta si presenta con la nuova famiglia al completo. Prima di entrare nel bosco la coda dell'occhio è attratta da un movimento tra i cespugli, abbastanza lontano. Capriolo. No, volpe. No. Lupo. Dunque è lui, trent'anni che lo aspetto. Sta immobile davanti a un ginepro, tra due pennacchi di verbasco. Mi guarda. Il rado pelame estivo concede poco all'estetica del mitico predatore, la lotta è per la sopravvivenza e si vede. Non sono impreparato, due secondi ed è nel mirino della Canon. Le dita vanno da sole e meno male, non posso essere io a guidarle adesso. Lui ha lo sguardo posato altrove, non capisco dove, lo scampanellamento di un gregge ci fa da sfondo. Poi inizia a camminare, prima veloce, poi rallenta, nel quasi buio col teleobiettivo lo perdo ma subito lo ritrovo. Fa una brusca virata a destra e si avvicina lesto a un gruppo di vitelli. Ecco cosa attraeva la sua attenzione ! E' un attimo, parte la corsa sua e delle prede. Nessuno sembra convinto del proprio ruolo, un lupo da solo è un predone dimezzato. I vitelli sono già grandi, giusto due sembrano alla portata di quell'attacco disperato; e infatti è lì che lui subito punta. Poi il gruppo sparisce dietro la collinetta, in corsa verso la notte. E' il 18 gennaio scorso, sono le cinque del pomeriggio al parco nazionale d'Abruzzo, Lazio, Molise. Una fototrappola abbracciata a un faggio, come ormai ne è disseminato l'Appennino, è puntata su una radura che si apre nel bosco. Per terra foglie cadute e qualche roccia, sullo sfondo un crinale che chiude a destra l'orizzonte. Mi sono divertito a controllare. Proprio in quelle ore, al Quirinale, Giorgio Napolitano riceveva il miliardario pervertito che ci governa "in un freddo faccia a faccia di un'ora" per manifestargli - é scritto nel comunicato ufficiale - "il turbamento dell'opinione pubblica" davanti alla contestazione di "gravi ipotesi di reato" (cioè sfruttamento della prostituzione minorile e concussione) al premier. Incredibile per incredibile, in quegli stessi momenti, la fototrappola piazzata nel parco nazionale dai ricercatori guidati dal mio amico Paolo Ciucci riprende quel che vedete qui sotto. Liberi e decisi, come solo dei lupi sanno esprimerlo. Undici, UNDICI, quando si ripete sempre che da noi ce li scordiamo i branchi numerosi di Yellowstone e dell'Alaska.
Undici motivi per difendere i nostri parchi, la nostra riserva di futuro. Di cui al nostro presidente del Consiglio e al suo ministro Prestigiacomo importa così poco (e questo post al lupo glielo dovevo, dopo le foto macabre e terribili di qualche giorno fa...). |
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