Gli interessati mi scrivano, penso di organizzare una partenza invernale per fotografare rapaci ma anche le centinaia di migliaia di gru (400.000, max concentrazione europea!) svernanti in Estremadura.
Sono tornato ieri dal Photo Tour primaverile in Estremadura, Spagna. Solito show della natura più bella e più ricca del Mediterraneo, solite tonnellate di GB di foto da scaricare, solito spaesamento nel passaggio repentino dalla dehesa ai palazzi romani. Ma tant'é. Quest'anno il tempo è stato clemente, senza la pioggia dell'anno scorso: quattro giornate piene a fotografare nei luoghi più belli della regione, dove era ormai la sesta volta che tornavo. Posti che conosco bene, ma la cui bellezza non smette di affascinarmi. A riveder le foto, credo che non ci sia miglior indicatore della incredibile biodiversità e ricchezza di vita naturale di questa terra che scoprire ogni volta - in più di una foto - un animale finito per sbaglio nell'inquadratura: che sia un rondone, un avvoltoio, una farfalla! Novità di quest'anno, il tempo dedicato anche ad alcune zone umide di particolare interesse dove abbiamo potuto facilmente realizzare buone immagini in poche ore di permanenza: posti che ogni fotografo naturalista vorrebbe avere come local patches... beati gli spagnoli! E' stato pure il Photo Tour delle aquile! Un altro, dopo quello di Hortobagy. Abbiamo visto e fotografato, anche se più che altro da lontano come è giusto che sia, aquila imperiale spagnola, aquile minori a volontà, bianconi, aquile del Bonelli. E dell'aquila reale abbiamo osservato bene due giganteschi nidi su eucalipto, di cui uno trovato da noi! Che emozione ammirare questi maestosi uccelli in un contesto così diverso da quello cui siamo abituati noi italiani, e pure i loro piccoli ancora ricoperti di piumino bianco che sbattono le ali nell'ingrandimento a 10x dello schermo in live view! Dalla prima sera all'ultima, al mitico Castillo di Monfrague e in tutti gli altri posti, gli avvoltoi sono stati naturalmente tra gli immancabili protagonisti del viaggio. Ogni giorno un giorno diverso, e incontri all'aria aperta con la straordinaria fauna locale. Non senza sorprese! Ancora una volta grazie ai miei grandi compagni di viaggio, davvero un piacere viaggiare in luoghi simili con persone belle e animate dalla tua stessa passione: stavolta Fabio con Rita, Cesare, Renzo. E alla prossima!
Gli interessati mi scrivano, penso di organizzare una partenza invernale per fotografare rapaci ma anche le centinaia di migliaia di gru (400.000, max concentrazione europea!) svernanti in Estremadura.
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Giovedi scorso altra sgambata al parco nazionale d'Abruzzo, questa volta per cercare di riprendere in modo soddisfacente un animale tra i più belli e caratteristici del nostro Appennino: il camoscio d'Abruzzo. E' proprio durante la stagione invernale, infatti, che questo ungulato mostra il suo abito più bello con il mantello che si arricchisce di un pelame folto, assai più scuro e contrastato di quello estivo. Ho naturalmente trovato un paesaggio innevato, ma non quanto credevo. Sui versanti esposti a meridione, infatti, le temperature raggiunte a metà giornata hanno chiazzato di grigio-roccia il manto bianco. Di notte e alle ore crepuscolari, invece, bel freddo intenso (al mio arrivo prima dell'alba -13°) che forma piccole stalattiti di ghiaccio nelle grotte lungo il sentiero e mette a dura prova i piccoli passeriformi come le cince bigie. Da acrobati nati quali sono, trovo i camosci a brucare tra le cenge più verticali. Più pesanti e numerosi i cervi, che affondando nella neve si spostano a piccoli gruppi al coperto degli ultimi lembi di bosco. Due i passaggi dell'aquila, ma rapidi e per giunta proprio sulla mia verticale: impossibile da inquadrare col 500 montato sul cavalletto! Poco dopo lei, nel cielo è passata una nuvola di gracchi alpini. Ne ho contati un centinaio, fantastici animali che sembrano farsi beffa delle condizioni ambientali proibitive chiamandosi l'un l'altro col ripetuto zirrr e sfarfalleggiando senza apparente destinazione. Proprio in questi giorni il parco nazionale d'Abruzzo è stato consultato dalla IUCN-Unione internazionale per la conservazione della natura allo scopo di valutare una revisione dello status del camoscio d'Abruzzo. La proposta è di assegnare al "popolo delle rocce" non più lo status attuale di endangered (a rischio di estinzione) ma quello di vulnerable, soprattutto in virtù dell'aumentato contingente formatosi sull'Appennino grazie ai parchi a seguito delle operazioni di reintroduzione attuate negli ultimi anni tra Majella, Gran Sasso e Sibillini (ed oggi il numero complessivo dei camosci è intorno alle 1500 unità). Il parere del parco è stato assai prudente, forse per il timore di un allentarsi dell'attenzione della comunità scientifica su uno dei suoi gioielli.
Insomma, per la salvezza di Rupicapra pyrenaica ornata c'è ancora da lavorare. Ieri giornata sul versante settentrionale del parco nazionale d'Abruzzo, Lazio, Molise. Molte ore di nevicata avevano ammantato tutto di bianco. Le ciaspole affondavano di dieci centimetri nella neve fresca, ma prima del ritorno della bufera sono riuscito a camminare per 3-4 ore. Poi il sole è uscito di nuovo. Generalmente non frequento più le aree faunistiche, ma questa volta ho fatto un'eccezione e devo dire che veder ciondolare l'orso marsicano nel paesaggio innevato non è la stessa cosa che nel resto dell'anno. Ed ho anche osservato un comportamento del cervo che non conoscevo. Ho visto un esemplare rizzarsi ripetutamente sulle zampe posteriori non solo per cercare qualcosa da mangiare sui rami bassi degli alberi, ma pure per far cadere foglie e piccoli frutti utilizzando l'imponente palco (a sette punte) a mo' di rastrello!
Ancora sulla neve, finalmente arrivata. Ieri. E' una giornata tersa e gelida e all'alba sono già sul posto. Dall'autostrada ai due solchi nel bianco della carrareccia - le catene le ho dietro, ma fortunatamente non servono - l'auto s'infila nella vallata che via via si stringe verso il valico. Arrivo alla fonte e parcheggio, calzo scarponi e ghette. Sui cardi i cristalli di ghiaccio si dispongono ordinatamente, faccio loro qualche scatto nella luce dorata del primo mattino e poi anche ai crinali intorno, dove il fresco manto bianco - dove finiscono i faggi - mette in evidenza le morbide forme della montagna. Inizio a salire, come d'abitudine, con 500 e cavalletto in spalla pronto a (quasi!) ogni evenienza. Passa una poiana, un capriolo abbaia nel bosco, il grugnito di alcuni cinghiali filtra tra i tronchi. Poi accade. Cammino in un tratto scoperto, sul pendio ondulato giusto qualche cespuglio di rosa selvatica, i primi faggi sono alla mia destra. Superato un cespuglio con lo sguardo in terra, attento a delle impronte di lepre sulla neve, colgo una sensazione di movimento e mi volto di novanta gradi verso sinistra. Un lupo è a trenta metri da me. Naturalmente tutto dura una frazione di secondo. Ha appena superato un piccolo dosso che mi copriva al suo sguardo. Lui si precipita al dietrofront, io all'inseguimento. Tiro giù dalle spalle tele e Gitzo e raggiungo in qualche modo il dosso, contando di fotografarlo almeno mentre si allontana. Dissolto nel nulla. Ma la neve è un libro scritto e allora ne ripercorro il cammino - prima veloce, come si conviene a una fuga, poi subito tornato sicuro di sé a passo costante e composto. Non appena riguadagnata la copertura del dosso ha piegato a destra, raggiunto gli alberi, sceso nel fosso e - visto frattanto il mio scatto in avanti - tagliato un'altra grande radura alle mie spalle: ha fatto il giro! Rimango basito, senza parole. In apparenza non la via più immediata per mettersi al sicuro (quella era girarsi di 180° e allontanarsi il più possibile), ma di certo la più efficace e la meno dispendiosa. Che animale fantastico... Ma un fotografo, e per giunta professionista, perde punti se confessa apertamente del groppo in gola a mettere gli scarponi nell'incavo di quelle orme, e dei duecento metri a ricostruire ogni passo e dunque ogni decisione/istinto - perché passare di lì e non qui? Quando, ben presto, il sole scende dietro le montagne la temperatura va a picco. Subito a -5°, e poi arriverà a -11°. Un cervo è concentrato dall'offerta di cibo rappresentata dagli amenti di un carpino: poca cosa, ma è quel che offre adesso questo mondo minerale.
Dopo il tramonto, nella pianura, la doppia piramide del Velino-Cafornia domina un lago di nebbia. Chissà stanotte come gli sarà andata la caccia... E' cominciata così. Ben due sveglie ignorate, gli occhi increduli davanti all'orologio ed un discreto elenco di santi scomodati dal loro etereo olimpo... A quel punto figlio accompagnato a scuola, tanto l'incubo del traffico è ormai una certezza. Ma poi parco d'Abruzzo era deciso, e parco d'Abruzzo sarà. Arrivo ch'è già tardi, tardissimo, rallentato ancora dal ghiaccio che rende la strada di Forca d'Acero uno scivolo mortale puntato su Opi. Ma aveva già pensato la neve, caduta copiosa nella notte, a cambiare il programma. Calzati gli scarponi m'incammino sul sentiero, cercandone un po' l'inizio tra gli alberi visto che il bianco ha cancellato quasi tutto... E in alto ad attendermi, mmh, c'è la bufera. I cervi ci sono, direi un paio di centinaia. Da una parte un gruppone di femmine, cui si uniscono giovani maschi e pochissimi esemplari dal palco a molte punte. I fiocchi che cadono fitti impediscono una vista chiara, certo più a me che a loro, ma insomma resta uno spettacolo. Dalla parte opposta della conca, ecco i maschi che battono il pendio alla ricerca di qualche erba ancora non seppellita del tutto. Poi la nevicata cessa e la luce inizia pian piano a migliorare. Da dietro alcune rocce arriva quel che speravo. Una femmina di camoscio col suo piccolo, assai più guardingo di lei che punta curiosa quello strano albero (NB - nota tecnica: ascoltando il rumore dello scatto ha esitato anche lei a lungo, poi come sono passato in modalità scatto silenzioso ha rotto gli indugi). Poi - perché le giornate sfigate, lo sappiamo, si riconoscono subito: ma pure quelle niente male - arriva anche lei, l'aquila. Uno splendido esemplare immaturo, di uno o due anni d'età direi, dalle caratteristiche macchie bianche che ne chiazzano ventralmente il piumaggio. Si posa su una roccia, poi mi vede e riparte subito ma per planare senza fretta sui massi che affiorano sul fianco della montagna. E' sopra il gruppo dei cervi maschi, li sorvola a disegnare cerchi di aria gelida sui loro palchi già solo pesanti, poi sparisce nel cielo bianco delle creste. A tratti esce il sole e accende le rocce dei picchi vicini, dove agli escursionisti è proibito inoltrarsi. I pendii ammantati dalle magre erbe autunnali si fanno lucenti, mentre la faggeta spoglia mostra grafismi disegnati dalle frane. Due cervi si allontanano dal gruppo procedendo in linea retta nella neve, passo dopo passo, verso un crinale. Foto o no, è un momento magico.
Dopo il tramonto percorro a ritroso il mio cammino e un paio d'ore più tardi, verso l'autostrada, guardando il termometro dell'auto segnare -10° mi coglie un brivido pensando a quel mondo al piano di sopra. Coi suoi ritmi e riti eterni. Deve, deve assolutamente restare così. Fine-settimana al parco nazionale d'Abruzzo, Lazio, Molise per un Photo Tour dedicato ai cervi, in compagnia di Federico Gemma. Grande l'immediatezza della fotografia digitale, e perciò naturale il suo porsi come forma d'espressione prediletta nella società delle immagini - lo scrivo nel giorno in cui Instagram ha superato Twitter come numero di utenti. Però fa riflettere la sproporzione numerica che esiste, credo proprio, tra i suoi appassionati e quelli dell'arte naturalistica. Eppure il fascino di un tratto ben segnato di matita, delle sfumature di un acquerello, dello studio che precede e accompagna - cannocchiale alla mano, anzi all'occhio - la stesura di un quadro personalmente mi pare innegabile. Per dipingere un animale non occorre necessariamente avvicinarlo, almeno non quanto per fargli raggiungere dimensioni decenti nell'inquadratura della reflex: vero! Invidia... Però è forse proprio quell'assenza a liberare l'artista, e insieme il giudizio di chi ne valuta il lavoro. Ecco: liberiamo anche la fotografia naturalistica! Come tutti gli eventi estremi in natura, il freddo eccezionale di queste giornate è di grande interesse per il fotografo naturalista. Oggi sfidava i -11° del lago di Barrea quasi completamente ghiacciato - nel parco nazionale d'Abruzzo, Lazio, Molise - un gruppone mai visto così numeroso di circa cinquanta cervi.
Sui rilievi circostanti, altri gruppi di cervi si scorgevano nel bosco ammantato di due metri di neve alla ricerca disperata di cibo. Meglio fare il fotografo... Sono appena tornato da una settimana in Abruzzo. Che dire, spesso mi trovo a pensare le mie amate montagne del Lazio come la periferia dell'Impero... Tra Majella e parco nazionale d'Abruzzo, Lazio, Molise ho messo in fila i miei files: accolto da una coppia di aquile reali (sopra Roccamorice); accompagnato e deliziato da camosci e arvicole delle nevi; congedato dal coro di bramiti dei cervi in amore. In attesa di mettere qualcosa sul blog posto intanto questa foto (cliccare per ingrandire). Si tratta di un magnifico maschio di cervo che ho rinvenuto morto sulle montagne del Pnalm, probabilmente deceduto per "crepacuore". In queste settimane di tempesta ormonale, infatti, unicamente attratti dal richiamo della riproduzione per cui trascurano anche di nutrirsi, capita che alcuni maschi non reggano l'immane stress fisico e muoiano. Non so, quella luce tra le palpebre socchiuse a qualcuno farà un effetto macabro - pur sempre un cadavere di qualche centinaio di chili. A me invece ha trasmesso un senso profondo di pace e di armonia, ed è ciò che ho provato a cogliere nell'immagine. I giornali aprono con la compravendita dei voti alla Camera, lo so, e con le ultime farneticazioni del povero Bossi (il padre del Trota). Spiace per loro ma per me questi sono i giorni dei cervi. La rivincita di un mammifero di straordinaria bellezza, diciamolo, che nelle attenzioni di giornalisti & divulgatori viene sempre dopo i pezzi da Novanta che devono essere predatori: lupi, orsi, aquile, lanari ... Ora non dico di soffermarsi da vicino - un'esperienza non comune, è vero - davanti all'imponenza del palco di un cervo maschio. Ma provate a risalire la valle boscosa di un parco (potrebbe essere la val Zebrù in Lombardia, o quelle che solcano la Lama in Emilia, o quella dell'Inferno che al parco d'Abruzzo porta al lago Vivo) in una di queste giornate d'inizio autunno. C'è da farsi venire la pelle d'oca: versi profondi e cupi filtrano tra i larici o i faggi echeggiando da un versante all'altro. Si ripetono, si rispondono, quelli più vicini fanno sussultare per l'inquietudine nella penombra umida del bosco. Insomma, portateci i bambini!, roba da fiaba... La stagione degli amori chiama allo scoperto Cervus elaphus e i maschi corteggiano le femmine - manco fossero Cavaradossi con Tosca nel dramma pucciniano - soprattutto alzando la voce. E quelle si guardano intorno con aria indifferente, tirano indietro un'orecchia stordite da tanta foga canora, fanno tre passi più in là. E loro dietro, succubi della tempesta ormonale, fra un ciuffo d'erba per smaltire lo stress e un'occhiata torva al rivale che forse s'avvicina. Con un po' di amici lo scorso fine-settimana mi sono divertito a fotografare questo spettacolo, e quelli sopra sono alcuni degli scatti migliori (più uno che metterò come Foto del mese di ottobre). Ma quanti cervi ci sono al parco d'Abruzzo, Lazio, Molise (dove oggi si apre l'importante appuntamento di Europarc 2010)? Non conosco le cifre esatte, certo a guardare questo filmato trovato su YouTube ... ... non devono essere pochi! E pensare che fino ai primi anni Settanta non ce n'era neanche uno. Fu infatti il parco, allora diretto da Franco Tassi, a volerne e condurne la reintroduzione. Un'operazione di successo, seppure accompagnata da alcune polemiche sulla provenienza dei cervi di ceppo centro-europeo: come mi disse in un'intervista pubblicata in Uomini e lupi lo stesso Tassi, i cervi furono infatti prelevati dai parchi del Triglav e del Bayerischer Wald.
Oggi tra Alpi e Appennino girano qualcosa come sessantamila cervi (stima Ispra 2005) e i parchi non hanno smesso di reintrodurli laddove si erano estinti. Una delle ultime operazioni è stata quella nel Lazio ai Simbruini, dove ora sono una cinquantina (presi da Tarvisio, dalle Foreste casentinesi e dal Pnalm). Ed anche in questo caso, come negli altri, ciò ha generato non solo il ristabilirsi di un equiibrio ecologico prima spezzato ma pure il non trascurabile effetto di avvicinare ancor di più il parco a residenti e turisti grazie appunto alla visibilità dell'operazione. Chi vuole saperne di più su questa bella storia del parco laziale può ad andarsi a leggere l'inchiesta che a inizio anno ho scritto per PAN, la rivista dei parchi del Lazio. Poi i cervi, come noto, sono una preda preferenziale del lupo. I parchi lo sanno e li reintroducono laddove ve ne sono le condizioni. Ricapitolando. I parchi aiutano i cervi. E i cervi aiutano i lupi. Ma i parchi, mazziati dai tagli voluti dal governo, chi li aiuta? E' il più selvaggio confine tra Lazio e Abruzzo, uno dei luoghi dove mi sento a posto col mondo. Quattro chilometri di parete alta quasi mille metri da un lato - quella del Murolungo - dall'altra balze e ghiaioni e in cielo mulinelli di avvoltoi. Due ore di guida in auto e poi un'altra di salita a piedi: ammirato dall'alto, il vallone di Teve offre la vertigine di una fenditura profonda nella groppa calcarea dei monti della Duchessa. Stamani i cervi bramivano verso il Velino e più tardi la coppia locale di aquile ci ha sorvolato sicura, senza un battito d'ala. Finché c'è Teve c'è speranza. |
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