Si chiama ALI la rivista della LIPU, Lega italiana protezione uccelli, e nel suo numero di settembre ospita un mio articolo sul lanario. Lo trovate qui. |
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Ormai cinque anni fa e cioè nel 2007, a cura di Alessandro Andreotti e Giovanni Leonardi, è stato pubblicato il Piano d’azione per il Lanario (Falco biarmicus feldeggii) redatto dall’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica su incarico del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (con la collaborazione di alcuni Dipartimenti universitari, Enti gestori di aree protette, Organizzazioni non governative, nonché di numerosi collaboratori, tra cui diversi specialisti che si sono occupati negli ultimi anni della conservazione e del monitoraggio delle popolazioni nidificanti nelle diverse realtà regionali). Basta scrivere su Google "lanario piano d'azione" e vi apparirà il link da cui scaricarlo liberamente. Ne estraggo un po' di notizie. 140-172 le coppie stimate che compongono la popolazione italiana, la principale del Paleartico occidentale. 70-80 le coppie in Sicilia, la regione in testa alla sempre più striminzita classifica della specie nel nostro Paese (seguono Puglia, Basilicata, Umbria ed Abruzzo). Minacce principali: perdita di habitat, degrado ambientale, perdita di siti riproduttivi, frammentazione dell'areale, disturbo antropico, caccia e bracconaggio, prelievo di uova e pulli, inquinamento genetico etc. Alcuni interrogativi, forse più di altri, stimolano la discussione tra gli appassionati e preoccupano tutti quelli (pochi, troppo pochi) che manifestano attenzione e sensibilità nei riguardi di una specie così preziosa e affascinante. Per esempio. Quanto incide sulla contrazione dell'areale dei lanari italiani la contemporanea espansione del "cugino" falco pellegrino? E dove vanno i giovani lanari una volta abbandonato il territorio dove sono nati? In Sicilia, come riporta Giovanni Leonardi che guida localmente un gruppo di ricercatori, negli anni passati sono stati inanellati oltre 50 giovani ma di nessuno di questi si ha avuto notizia !! Certamente occorrerebbe più ricerca scientifica, e più attenzione da parte delle associazioni ambientaliste. E dei poveri media italiani, cui spiegare che no, non si tratta di artigiani della lana... Nell'attesa inizio io, a mettere il lanario in prima pagina (vedi nuova foto in HOME: approfitto per chiarire che è possibile fermare lo slideshow di tutte le GALLERIES, HOME inclusa, cliccando sulla foto e poi sul simbolo "pausa" oppure "indietro" o "avanti"). Come al solito, si sono fatti vivi ben dopo il mio arrivo. Un verso stridulo, lungo, ripetuto due volte e poi smorzato. Fino ad allora la parete sembrava inanimata. L'alba ha prima arrossato, poi inondato di luce piena il bosco e i prati e il catino di roccia. Il giorno dei lanari è iniziato con un accoppiamento, acrobatica unione su cenge a strapiombo, più tregua momentanea tra due spietati predoni del cielo che atto d'amore. Un breve crescendo di suoni selvaggi e poi anche l'eco s'è spento, e quando il maschio si è posato davanti a me un colpo di vento ha fatto cadere un lembo del telo mimetico. Un errore che m'è costato venti minuti di sofferenza, costretto all'immobilità totale - per non tradire la mia presenza - con le gambe contratte e una spada di calcare nella schiena. Ma chi fotografa i rapaci negli zoo variamente denominati, talvolta pure patrocinati dai parchi (incredibile !), cosa ne sa del brivido che ti procura un falcone che sfreccia a pochi metri dall'albero dove sei nascosto ? Una fatica fisica non indifferente, ore di attesa e contorsioni nelle posizioni più assurde, uno spicchio di aria dove attendere quel siluro in volo e prima inquadrarlo col 500, poi metterlo a fuoco, e poi pigiare lo scatto e incrociare le dita... Undici ore di appostamento alba/tramonto così e saresti pronto per il letto, più che per l'autostrada... Mille e mille accortezze per riprendere questi animali meravigliosi senza arrecare nessun disturbo, senza sgarrare mai, i giudici più severi tu e la tua scheda SD (che a un errore anche minimo resta inesorabilmente vuota).
Improvvisazioni zero ma pazienza tanta, conoscenza dell'animale, magari un po' di manico, passione da vendere. Avete presente, roba straordinaria come poche: si chiama fotografia naturalistica. Uscire di casa a metà notte, soprattutto facendo attenzione a non dimenticare nulla. Un'ora e mezza e poi, lasciata l'auto, salire col buio nel bosco riconoscendo uno ad uno quel ramo contorto, la bottiglia di plastica finita lì chissà da quando, il sasso dalla forma strana. Fino allo strapiombo. Cinque minuti di contorsioni finali prima che tutto taccia, e abbia inizio la lunga attesa immobile nel freddo per assaporare - e cogliere, possibilmente ! - quegli attimi di puro spettacolo. Non sto nella pelle pensando al ritorno dei giorni del lanario. Sul numero in distribuzione di Asferico, quadrimestrale di fotografia naturalistica edito dall'AFNI - l'associazione di fotografi naturalisti di cui faccio parte - c'e' un mio portfolio sui rapaci dal titolo "Artigli". La rivista è diffusa solo per abbonamento e inviata a tutti i soci AFNI (info sul sito dell'associazione). Anche la foto di copertina è mia e ritrae una vecchia conoscenza... Da qualche anno sto seguendo un mio antico amore, messo da parte troppo a lungo: il lanario. Per la mia tesi in Scienze Naturali vent'anni fa m'ero messo in testa di studiarlo sui monti della Tolfa, figurarsi. Oggi questo straordinario falcone, per certi versi dalla biologia ancora poco nota (parlo della sua sottospecie europea, Falco biarmicus feldeggii), è il rapace più raro del Lazio.
Le sue esigenze ecologiche e il suo comportamento estremamente elusivo lo rendono un vero fantasma. Come riportato dalla letteratura, il lanario è meno pretenzioso del pellegrino rispetto all'ampiezza della parete prescelta per il nido. Sa accontentarsi di poco: una scarpata di arenaria, un calanco tra i campi. Il pellegrino no, da bestia che ama la dimensione verticale pretende a tutti i costi parecchie decine di metri tra il "suo" terrazzino (come quello nella foto qui sopra, di qualche giorno fa) e la base della parete. Visitando molti siti riproduttivi di lanario - oltre ai noti parametri come l'esposizione, prevalentemente S o SE, oppure la quota mediamente bassa - mi ha colpito l'assenza di pareti prospicienti. Davanti al nido, insomma, Falco biarmicus almeno da noi vuole solo una cosa: il vuoto, l'aria. E non, piuttosto, l'altra sponda di una gola un po' stretta oppure l'orlo troppo vicino di una cava dismessa. In questo, e non solo in questo, si dimostra animale assai piu' accorto del pellegrino. Ma il "problema" del lanario è un altro. E cioè che così facendo, snobbando insomma i siti paesaggisticamente più spettacolari come possono essere le pareti rocciose più vertiginose e preferendo quelli magari a margine degli ambienti rurali, rimane fuori dalle aree protette. Dai parchi, insomma. Non a caso nel Lazio i siti riproduttivi della specie, appena 5-7, sono tutti al di fuori delle aree protette o al più - in un solo caso - al margine. Più o meno lo stesso accade in Toscana e probabilmente anche in Molise, Sicilia e altrove. Il lanario rappresenta insomma, almeno da noi, un mondo rurale mediterraneo fatto di colture estensive, casolari isolati, boschetti e siepi, incolti. Un mondo in via di estinzione. Per questo è una specie dal valore anche simbolico e mi ci sono appassionato, ragionando pure - da comunicatore, cioè il mio mestiere, lasciando ad altri la propria parte - sul modo per fare qualcosa allo scopo di contrastare (per quanto possibile) un declino ultimamente più marcato. C'è un SOS da lanciare, insomma. Speriamo di arrivare in tempo. |
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